Lavori sul canale di drenaggio di falda di Patula Cupa – richiesta di intervento per mitigare le condizioni di disequilibrio ecologico determinate dall’intervento e osservazioni sulla gestione del Parco.

Il Parco di Patula Cupa presenta distinti valori naturalistici e paesaggistici, bene esplicitati nei totem informativi di recente installati, cui dovrebbero corrispondere chiari indirizzi di tutela rispetto ai peculiari habitat palustri e ripari che nel Parco trovano espressione, al fine di conservarne ed incrementarne la biodiversità, in attuazione del dettato dell’Art. 9 della Costituzione che così recita:

La Repubblica […]
Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

Il recente intervento che interessa il canale di drenaggio delle acque di falda appare tuttavia progettualmente incongruo, in quanto la dimensione della sezione trapezia testé realizzata, tipica dei canali che raccolgono acque da scorrimento superficiale in bacini di raccolta di rilevante estensione, in cui sono plausibili improvvise e considerevoli variazioni di portata, non trova invece giustificazione alcuna nel caso specifico, trattandosi qui di acqua di falda soggetta a modestissime variazioni di portata, dell’ordine di pochi litri al secondo nel corso dell’anno.

E invero, benché siano comprensibili le necessità di una manutenzione facilitata, dobbiamo vieppiù osservare come non siano state rappresentate in alcun modo le necessarie istanze di conservazione della biodiversità animale e vegetale, in quanto la situazione attuale mostra un drammatico impoverimento del valore ecologico dello stesso canale.

Diversamente in tutta Europa, anche in corsi d’acqua di portata ben più ragguardevole, si possono osservare nella contemporaneità esempi specularmente opposti, in cui alvei pesantemente artificializzati negli anni ‘90, hanno ritrovato oggi la dimensione ecologica e naturalistica che loro compete di diritto, come ben documentato nel Progetto Europeo Merlin, da cui è stata presa l’immagine che segue.

Il canale di Patula Cupa nell’assetto artificiale attuale, tipica forma di “trappola ecologica”

Tornando al caso concreto di Patula Cupa, il problema relativo al nuovo intervento discende dal mancato coinvolgimento in fase progettuale di professionisti con competenze specifiche nel campo della biologia e degli ecosistemi, che avrebbero potuto immediatamente suggerire modalità d’intervento più consone alla caratterizzazione naturalistica del Parco, prevedendo ad esempio la stabilizzazione del fondo del canale con lastre di pietra di adeguata dimensione e spessore (minimo 20 cm), posate in opera ad incastro di punta, senza malta, con sponde di protezione di modesta altezza (massimo 30 cm, considerando la variazione pressoché nulla del livello idrico durante l’anno), come negli esempi che seguono:

 

Interventi di questo genere riescono contemporaneamente a contenere la crescita della vegetazione sul fondo dei canali ed a rendere agevoli gli interventi periodici di rimozione dei sedimenti che si accumulano progressivamente sul fondo, ma nel rispetto della funzionalità ecosistemica, della salvaguardia della biodiversità animale e vegetale e, non ultimo, dei valori estetici e paesaggistici che il Parco esprime, considerato come tale soluzione sia anche quella adottata per i canali di bonifica dell’Arneo, come visibile in prossimità dei Bacini (Padula Fede, Torre Colimena, Palude del Conte).

Onde prevenire sterili contestazioni, è opportuno osservare che l’acclività delle sponde, che nel profilo del canale precedente all’attuale intervento era perfettamente ricompresa in quella degli esempi sopra riportati, tanto da rendere questa soluzione realizzativa la più rapida, economica ed efficace, era ben diverso dallo stato attuale con sponde pressoché verticali, che conseguentemente hanno richiesto l’applicazione di malta di cemento tra i conci di pietra per assicurare una sia pur risicata e temporanea stabilità.

Da un punto di vista geo-ingegneristico, non va infatti dimenticato che ci troviamo in un contesto di alta pericolosità per allagamento del PAI, dunque infrastrutture a sponde impermeabili e pressoché verticali come quella realizzata saranno sicuramente soggette a spinta idrostatica, dall’esterno verso l’interno, in caso di allagamento anche minimo-parziale, eventualità che rischia di produrre l’immediato collasso della struttura verso l’interno (è la stessa ragione per cui, nei muri di contenimento autostradali, si osserva la realizzazione di numerose e regolari aperture che garantiscono il deflusso delle acque di infiltrazione in modo da impedire l’instaurarsi di una spinta idrostatica perpendicolare al muro, capace di minarne la stabilità).

La verticalità delle sponde attuali è invece conseguenza dell’ingiustificato allargamento del fondo d’alveo, considerate le reali e limitate portate che il canale riesce ad esprimere come frutto dell’emungimento della falda superficiale.

Al contrario l’uso ormai consolidato in ingegneria naturalistica di sistemazioni “a giunto aperto” per gli argini, come quelle illustrate nelle precedenti immagini, permette di azzerare il rischio di spinta idrostatica dall’esterno verso l’interno ed assicurare una migliore tenuta della scarpata, grazie ai positivi effetti che l’apparato radicale della residua vegetazione opera sul suolo di sponda, come ad esempio evidenziato nella sezione progettuale che segue, applicata ad un corso d’acqua di dimensioni ben maggiori rispetto al canale di Patula Cupa (per cui, nel nostro caso, occorre fare le debite proporzioni):

Tornando al Parco di Patula Cupa, la questione dell’indispensabile coinvolgimento di professionalità con competenze specifiche nel campo ecologico-naturalistico è primaria ed ineludibile nei momenti di progetto e modifica dell’esistente, come nel caso del canale, ma si estende anche alle modalità di gestione – un esempio recente e purtroppo altrettanto dannoso è costituito dai trattamenti insetticidi antialati, che non possono assolutamente essere effettuati in un parco con valenze naturalistiche, in particolare se legate alla presenza di zone umide ed all’acqua; si tratta di un tema già affrontato in sede di Commissione Ambiente, dove abbiamo posto l’accento sui rischi connessi alla nebulizzazione del Ciperpy, l’insetticida a base di cipermetrina (piretroide di sintesi) utilizzato dall’Axa per questo scopo; si riporta a seguire estratto della scheda di sicurezza del Ciperpy, sufficientemente esplicativa tanto da non necessitare di ulteriori commenti:

Questa notazione ci permette di porre l’attenzione su come la cittadinanza vada costantemente formata e sensibilizzata sulle tematiche ecologiche e sulle modalità di gestione naturalistica dei parchi come quello di Patula Cupa, considerato come il necessario cambiamento culturale costituisca una completa inversione ad “U” rispetto alla imperante cultura biofobica che costituisce la pesante eredità dei decenni passati; è dunque responsabilità degli Amministratori non farsi “tirare per la giacchetta” da cittadini che invocano “la pulizia”, ovvero l’eliminazione totale della vegetazione, “perché ci sono gli animali” – questa continua opera di sensibilizzazione, formazione ed informazione è parte indispensabile della programmazione culturale di ogni ente locale che voglia davvero investire nella transizione ecologica e promuoverla con efficacia e coraggio, opera immateriale ma indispensabile quanto lo è la creazione di nuove infrastrutture verdi.

Tornando adesso alle problematiche causate dal recente intervento sul canale, dobbiamo purtroppo osservare come l’inadeguata ed incongrua progettazione stia producendo degli effetti estremamente deleteri sulla fauna, cui bisogna trovare assolutamente rapida soluzione, necessità che ci ha spinti a redigere questa comunicazione.

In quest’ambito, siamo ben consci del divieto di dismissione di interventi realizzati con finanziamenti pubblici prima del termine di cinque anni, per cui, nell’impossibilità per ora di mettere in atto modifiche ben più adeguate e sostanziali che prevedano un adeguato restauro e ripristino naturalistico, riteniamo altresì indispensabile la rapida predisposizione di soluzioni aggiuntive, che permettano di risolvere nell’immediato gli aspetti più deleteri causati della situazione testé creata, che rappresenta a tutti gli effetti una “trappola ecologica” per numerosi animali del Parco.

Le trappole ecologiche (sensu Gates & Gysel, 1978) si verificano quando determinate specie animali sono attirate (generalmente durante le attività di ricerca di alimento, di rifugio o di siti per la riproduzione) in situazioni e luoghi apparentemente favorevoli, ma che li espongono in realtà a pericoli particolarmente letali; si verificano di frequente in infrastrutture antropiche che inglobano elementi ambientali altrove rari, come nel caso delle rotatorie stradali con arbusti da frutto, o per le vetrate specchianti di grandi edifici (percepite dall’avifauna come vie di fuga, sulle quali impattano), o per le fonti luminose notturne che attirano falene, coleotteri ed altri insetti notturni disturbando le loro capacità d’orientamento.

In molti casi si tratta di ambienti che avrebbero la potenzialità per supportare la biodiversità faunistica, ma che, per caratteristiche costruttive inadeguate, finiscono per ricadere in uno stato perenne di non funzionalità ecologica e di ‘trappola ecologica’ tanto da essere definiti ‘habitat negativi’, in quanto riducono la biodiversità producendo mortalità (diretta o per fallimento riproduttivo) anche elevata per le specie che andrebbero tutelate.

Essendo poi tanto più attiranti quanto più l’elemento naturale in esse inglobato è raro, le infrastrutture antropiche di gestione delle acque, in ambito pugliese, possono divenire delle iper-trappole, qualora presentino facilità d’accesso per la fauna e pareti verticali che ne impediscano la fuga come purtroppo si verifica nel canale di Patula Cupa dopo il recente intervento.

In particolare, per quanto riguarda le specie di anfibi presenti nel Parco, i rospi comuni (Bufo bufo) ed i rospi smeraldini (Bufotes viridis balearicus), utilizzano le aree allagate unicamente per riprodursi, ma vivono da adulti in zone asciutte; queste specie vengono attirate come  esemplari adulti nei canali durante il periodo riproduttivo (da gennaio a maggio), dove possono entrare per caduta, riuscendo a riprodursi ma senza poter più uscire e dunque morendo per batteriosi della pelle, dato l’ambiente per loro non adeguato.

Anche i girini, dopo la metamorfosi, non riescono a guadagnare le sponde, per cui sono costretti a subire un analogo destino, un ciclo anti-riproduttivo che agisce portando progressivamente ad una riduzione del numero degli individui nelle popolazioni target, che può arrivare fino all’estinzione locale delle specie interessate.

Non è superfluo ricordare che entrambe le specie sono oggetto di specifica protezione nella legislazione italiana, essendo incluse nella Convenzione di Berna, recepita in Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981; il rospo smeraldino è inoltre ulteriormente tutelato della “Direttiva Habitat” 92/43/CEE, essendo ricompreso nell’allegato IV.

Per quanto riguarda invece le rane verdi (Complesso Pelophylax lessonae e relativi klepton), queste riuscirebbero a sopravvivere senza problemi in una zona con presenza costante di acqua, tuttavia, in caso di canali come quello di Patula Cupa con pareti verticali impossibili da scalare, divengono facilmente oggetto di iperpredazione da parte degli Ardeidi, ossia degli aironi come le garzette, gli aironi guardabuoi, le sgarze ciuffetto, gli aironi bianchi, tutte specie più volte osservate a Patula Cupa.

La mancanza di qualsivoglia nascondiglio costituito da vegetazione riparia sulle sponde o da ciottoli e cavità sul letto di scorrimento, rende infatti questi anuri totalmente esposti ai predatori che, in circostanze innaturali come il canale a sponde alte, tendono ad un cortocircuito istintuale che li induce a compiere vere e proprie stragi di rane e rospi, che vengono uccisi ma non inghiottiti, finendo in ultimo per determinare un danno per la sopravvivenza degli stessi uccelli predatori, che nel medio periodo si troveranno ad affrontare l’estinzione delle prede necessarie alla loro sussistenza.

Queste condizioni deleterie per la biodiversità locale sono al momento ben visibili come esito dell’intervento effettuato sul canale, che al momento corrisponde purtroppo perfettamente alla caratterizzazione delle “trappole ecologiche”, in primo luogo per gli anfibi e, secondariamente, per altre specie, come la natrice dal collare sicula (Natrix helvetica ssp. sicula), presente nei nostri ambienti umidi, che potrebbe senz’altro essere attirata dalla presenza degli anuri di cui si ciba, per poi finire anch’essa predata dagli aironi  o ritrovarsi nell’impossibilità di riprodursi (trattandosi di un rettile e non di un anfibio, la natrice ha bisogno di luoghi caldi ed asciutti per deporre le sue uova e farle schiudere, nonché di luoghi asciutti per andare in ibernazione durante l’inverno).

A questo si aggiunge l’ulteriore rischio di funzionare come “trappola per caduta” per altra fauna minore, in particolare piccoli insettivori come i ricci (Erinaceus europaeus), i mustioli (Suncus etruscus) e le talpe (Talpa romana).

Il problema sopra riportato era frequente nelle infrastrutture di servizio della rete di raccolta delle acque grigie in ambito urbano, realizzate in aree prive di interesse naturalistico e quindi progettate e realizzate unicamente tenendo conto della funzionalità idraulica, salvo poi ritrovarsi anche lì con rospi intrappolati ed incapaci di risalire.

Attualmente decenni di esperienza e di attività di sensibilizzazione hanno portato a nuovi disegni progettuali, con vie di fuga preinstallate nonché allo studio e sviluppo di sistemi di “retrofitting”, ossia di adeguamento delle infrastrutture anche dopo la loro realizzazione, in modo da risolvere gli aspetti più dannosi del problema.

In particolare, per ciò che riguarda gli anfibi, il metodo più funzionale di retrofitting è risultato l’uso di strisce di geogriglie sintetica, che permettono agli animali di scalare pareti anche verticali, come quelle dei tombini, in modo da ripristinare le possibilità di allontanamento dal corpo idrico.

In questo sito è possibile visionare video di diversi anfibi, sia anuri (rane e rospi), che urodeli (salamandre e tritoni), ripresi mentre si arrampicano su geogriglie per uscire da tombini.

A queste, per proteggere altri esemplari di fauna minore (piccoli mammiferi insettivori, e serpenti) che possono cadere nei canali accidentalmente, si aggiungono delle rampe inclinate, di larghezza compresa tra i 15 ed i 20 cm, spesso accoppiate con geogriglia per aumentarne la funzionalità.

Nel caso applicativo del canale di Patula Cupa, considerando come ci si trovi all’interno di un’infrastruttura verde primariamente dedicata alla biodiversità, per risolvere la carenza di progettazione che ha portato all’attuale risultato si suggerisce di adottare entrambi gli approcci, posizionando strisce di geogriglia ogni sei metri lineari su entrambe le sponde, per un totale di 50 strisce, e due strutture a trapezio isoscele, una per sponda, in modo da formare due rampe di 20 cm di larghezza ed inclinazione compresa tra i 30 ed i 45 gradi, così da ottenere 4 rampe di uscita inclinate.

Esempio di doppia rampa inclinata su canale a sezione trapezia

Le due strutture trapezie possono essere realizzate nello stesso materiale lapideo utilizzato per rivestire le sponde, tagliando opportunamente i conci per ottenere le superfici inclinate delle rampe; anche sulle rampe è opportuno fissare strisce di geogriglia, in modo da rendere più facile la risalita per la fauna.

Inoltre, per ciò che concerne gli anfibi, è anche opportuno inserire in posizione laterale sul letto del canale dei rifugi che permettano agli animali di nascondersi in situazioni di pericolo; per questa funzione si suggerisce l’uso di semplici coppi in laterizio, per circa 100 pezzi totali (una ogni tre metri di sponda), da posizionare sul fondo lungo i bordi.

La messa in opera di questi dispositivi permette di risolvere nell’immediato l’emergenza ecologico-faunistica, tuttavia è opportuno ribadire come una corretta progettazione iniziale non solo avrebbe evitato il presentarsi di queste criticità, ma avrebbe all’inverso potuto creare condizioni positive per la fauna e per la flora, un effetto positivo per la biodiversità che non è purtroppo ottenibile nelle condizioni attuali.

Per quanto concerne i costi, le geogriglie già tagliate in strisce sono in vendita al costo di circa 15 euro cadauna, con la seguente voce di capitolato:

Geostuoia tridimensionale come scala per anfibi, tipo SYTEC Terramat A, stabilizzato ai raggi UV, materia prima PE + PP, colore nero, Massa min. 570 g/m², spessore min. 15 mm, resistenza alle intemperie min. 80 %, lunghezza 165 cm. 

L’installazione su un canale è estremamente rapida, in quanto vengono fissate nella parte alta del canale utilizzando viti con tassello e placche metalliche per distribuire la pressione di fissaggio, o in alternativa, semplici rondelle di 2-3 cm di diametro (due per ogni fascia) mentre la parte terminale viene semplicemente zavorrata con una pietra.

Per la realizzazione in loco delle due strutture con rampe inclinate è possibile stimare un costo di realizzazione di circa € 300 cadauna, mentre le tegole “coppi” hanno un costo inferiore ad un euro cadauna.

Complessivamente il costo dell’intervento di mitigazione è quindi inferiore ai 2.000 euro.

Per concludere, vogliamo sperare che l’intento con cui è stata redatta questa nota risulti ben chiaro, quello della leale collaborazione che non è mai mancata da parte nostra, per risolvere un problema di rilevante portata che abbiamo purtroppo dovuto osservare ad opera eseguita.

Se invece fossimo stati coinvolti fin dalle fasi iniziali di progettazione dell’opera, non solo si sarebbe potuto evitare del tutto l’insorgere di questi problemi, ma si sarebbero potuti ottenere quei benefici già menzionati per la biodiversità e per la struttura paesaggistica del Parco, il tutto con risparmio di risorse pubbliche.

A questo proposito è anche importante ricordare la nostra continua disponibilità a partecipare (a titolo del tutto gratuito) alle sedute della Commissione Comunale per l’Ambiente, fornendo apporti che in più casi si sono rivelati preziosi per la comunità ed il territorio, in perfetta applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale pure sancito a livello Costituzionale.

Riteniamo che la tutela e la valorizzazione di queste sedi, in cui sono presenti molteplici competenze, sia estremamente rilevante, per cui invitiamo l’Amministrazione a servirsene in maniera adeguata e costante, quale espressione della ricchezza sociale di una Comunità che chiede di venire coinvolta nelle scelte che interessano il proprio territorio.

Si ringrazia inoltre per la consulenza naturalistica e faunistica il Dott. Biologo Cosimo Vetrano, che ci ha seguiti e consigliati nella redazione di questa nota.

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