LEVERANO, 11 settembre 2025 – ore 19,30 Laboratorio Sociale, via Turati 5 Leverano
INCONTRO PUBBLICO
Alla luce del nuovo quadro normativo nazionale che mira a promuovere ulteriormente la nascita e lo sviluppo di CER – Comunità Energetiche Rinnovabili il Circolo di Legambiente Leverano in collaborazione con il Comune di Leverano propone un incontro pubblico da svolgere l’11 settembre p.v. ore 19,30 presso il laboratorio Sociale, via Turati 5 a Leverano. L’incontro vedrà la presenza dell’avv. Maria Antonietta Portaluri, presidente nazionale dell’UNAE, specializzata nei settori energy e appalti pubblici. L’avv. Portaluri è esperta sui temi della trasformazione green e digitale nei mercati dell’energia e delle costruzioni (rinnovabili e smart building) con focus sulle nuove tecnologie e l’AI. Scopo dell’incontro è di illustrare il quadro normativo alla luce delle novità introdotte dal decreto del MASE firmato il 16 maggio 2025 che introduce importanti modifiche alla disciplina degli incentivi per le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e le configurazioni di autoconsumo ampliando le opportunità di finanziamento nazionali e regionali. In particolare alla misura nazionale, si affianca ora un importante intervento della Regione Puglia che ha previsto di finanziare le azioni volte alla costituzione di una CER a livello regionale, con una misura che copre i costi di “proposte di costituzione di una CER” con allegati studi di prefattibilità e indagini energetiche.
Il Parco di Patula Cupa presenta distinti valori naturalistici e paesaggistici, bene esplicitati nei totem informativi di recente installati, cui dovrebbero corrispondere chiari indirizzi di tutela rispetto ai peculiari habitat palustri e ripari che nel Parco trovano espressione, al fine di conservarne ed incrementarne la biodiversità, in attuazione del dettato dell’Art. 9 della Costituzione che così recita:
“La Repubblica […] Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.”
Il recente intervento che interessa il canale di drenaggio delle acque di falda appare tuttavia progettualmente incongruo, in quanto la dimensione della sezione trapezia testé realizzata, tipica dei canali che raccolgono acque da scorrimento superficiale in bacini di raccolta di rilevante estensione, in cui sono plausibili improvvise e considerevoli variazioni di portata, non trova invece giustificazione alcuna nel caso specifico, trattandosi qui di acqua di falda soggetta a modestissime variazioni di portata, dell’ordine di pochi litri al secondo nel corso dell’anno.
E invero, benché siano comprensibili le necessità di una manutenzione facilitata, dobbiamo vieppiù osservare come non siano state rappresentate in alcun modo le necessarie istanze di conservazione della biodiversità animale e vegetale, in quanto la situazione attuale mostra un drammatico impoverimento del valore ecologico dello stesso canale.
Diversamente in tutta Europa, anche in corsi d’acqua di portata ben più ragguardevole, si possono osservare nella contemporaneità esempi specularmente opposti, in cui alvei pesantemente artificializzati negli anni ‘90, hanno ritrovato oggi la dimensione ecologica e naturalistica che loro compete di diritto, come ben documentato nel Progetto Europeo Merlin, da cui è stata presa l’immagine che segue.
Il canale di Patula Cupa nell’assetto artificiale attuale, tipica forma di “trappola ecologica”
Tornando al caso concreto di Patula Cupa, il problema relativo al nuovo intervento discende dal mancato coinvolgimento in fase progettuale di professionisti con competenze specifiche nel campo della biologia e degli ecosistemi, che avrebbero potuto immediatamente suggerire modalità d’intervento più consone alla caratterizzazione naturalistica del Parco, prevedendo ad esempio la stabilizzazione del fondo del canale con lastre di pietra di adeguata dimensione e spessore (minimo 20 cm), posate in opera ad incastro di punta, senza malta, con sponde di protezione di modesta altezza (massimo 30 cm, considerando la variazione pressoché nulla del livello idrico durante l’anno), come negli esempi che seguono:
Interventi di questo genere riescono contemporaneamente a contenere la crescita della vegetazione sul fondo dei canali ed a rendere agevoli gli interventi periodici di rimozione dei sedimenti che si accumulano progressivamente sul fondo, ma nel rispetto della funzionalità ecosistemica, della salvaguardia della biodiversità animale e vegetale e, non ultimo, dei valori estetici e paesaggistici che il Parco esprime, considerato come tale soluzione sia anche quella adottata per i canali di bonifica dell’Arneo, come visibile in prossimità dei Bacini (Padula Fede, Torre Colimena, Palude del Conte).
Onde prevenire sterili contestazioni, è opportuno osservare che l’acclività delle sponde, che nel profilo del canale precedente all’attuale intervento era perfettamente ricompresa in quella degli esempi sopra riportati, tanto da rendere questa soluzione realizzativa la più rapida, economica ed efficace, era ben diverso dallo stato attuale con sponde pressoché verticali, che conseguentemente hanno richiesto l’applicazione di malta di cemento tra i conci di pietra per assicurare una sia pur risicata e temporanea stabilità.
Da un punto di vista geo-ingegneristico, non va infatti dimenticato che ci troviamo in un contesto di alta pericolosità per allagamento del PAI, dunque infrastrutture a sponde impermeabili e pressoché verticali come quella realizzata saranno sicuramente soggette a spinta idrostatica, dall’esterno verso l’interno, in caso di allagamento anche minimo-parziale, eventualità che rischia di produrre l’immediato collasso della struttura verso l’interno (è la stessa ragione per cui, nei muri di contenimento autostradali, si osserva la realizzazione di numerose e regolari aperture che garantiscono il deflusso delle acque di infiltrazione in modo da impedire l’instaurarsi di una spinta idrostatica perpendicolare al muro, capace di minarne la stabilità).
La verticalità delle sponde attuali è invece conseguenza dell’ingiustificato allargamento del fondo d’alveo, considerate le reali e limitate portate che il canale riesce ad esprimere come frutto dell’emungimento della falda superficiale.
Al contrario l’uso ormai consolidato in ingegneria naturalistica di sistemazioni “a giunto aperto” per gli argini, come quelle illustrate nelle precedenti immagini, permette di azzerare il rischio di spinta idrostatica dall’esterno verso l’interno ed assicurare una migliore tenuta della scarpata, grazie ai positivi effetti che l’apparato radicale della residua vegetazione opera sul suolo di sponda, come ad esempio evidenziato nella sezione progettuale che segue, applicata ad un corso d’acqua di dimensioni ben maggiori rispetto al canale di Patula Cupa (per cui, nel nostro caso, occorre fare le debite proporzioni):
Tornando al Parco di Patula Cupa, la questione dell’indispensabile coinvolgimento di professionalità con competenze specifiche nel campo ecologico-naturalistico è primaria ed ineludibile nei momenti di progetto e modifica dell’esistente, come nel caso del canale, ma si estende anche alle modalità di gestione – un esempio recente e purtroppo altrettanto dannoso è costituito dai trattamenti insetticidi antialati, che non possono assolutamente essere effettuati in un parco con valenze naturalistiche, in particolare se legate alla presenza di zone umide ed all’acqua; si tratta di un tema già affrontato in sede di Commissione Ambiente, dove abbiamo posto l’accento sui rischi connessi alla nebulizzazione del Ciperpy, l’insetticida a base di cipermetrina (piretroide di sintesi) utilizzato dall’Axa per questo scopo; si riporta a seguire estratto della scheda di sicurezza del Ciperpy, sufficientemente esplicativa tanto da non necessitare di ulteriori commenti:
Questa notazione ci permette di porre l’attenzione su come la cittadinanza vada costantemente formata e sensibilizzata sulle tematiche ecologiche e sulle modalità di gestione naturalistica dei parchi come quello di Patula Cupa, considerato come il necessario cambiamento culturale costituisca una completa inversione ad “U” rispetto alla imperante cultura biofobica che costituisce la pesante eredità dei decenni passati; è dunque responsabilità degli Amministratori non farsi “tirare per la giacchetta” da cittadini che invocano “la pulizia”, ovvero l’eliminazione totale della vegetazione, “perché ci sono gli animali” – questa continua opera di sensibilizzazione, formazione ed informazione è parte indispensabile della programmazione culturale di ogni ente locale che voglia davvero investire nella transizione ecologica e promuoverla con efficacia e coraggio, opera immateriale ma indispensabile quanto lo è la creazione di nuove infrastrutture verdi.
Tornando adesso alle problematiche causate dal recente intervento sul canale, dobbiamo purtroppo osservare come l’inadeguata ed incongrua progettazione stia producendo degli effetti estremamente deleteri sulla fauna, cui bisogna trovare assolutamente rapida soluzione, necessità che ci ha spinti a redigere questa comunicazione.
In quest’ambito, siamo ben consci del divieto di dismissione di interventi realizzati con finanziamenti pubblici prima del termine di cinque anni, per cui, nell’impossibilità per ora di mettere in atto modifiche ben più adeguate e sostanziali che prevedano un adeguato restauro e ripristino naturalistico, riteniamo altresì indispensabile la rapida predisposizione di soluzioni aggiuntive, che permettano di risolvere nell’immediato gli aspetti più deleteri causati della situazione testé creata, che rappresenta a tutti gli effetti una “trappola ecologica” per numerosi animali del Parco.
Le trappole ecologiche (sensu Gates & Gysel, 1978) si verificano quando determinate specie animali sono attirate (generalmente durante le attività di ricerca di alimento, di rifugio o di siti per la riproduzione) in situazioni e luoghi apparentemente favorevoli, ma che li espongono in realtà a pericoli particolarmente letali; si verificano di frequente in infrastrutture antropiche che inglobano elementi ambientali altrove rari, come nel caso delle rotatorie stradali con arbusti da frutto, o per le vetrate specchianti di grandi edifici (percepite dall’avifauna come vie di fuga, sulle quali impattano), o per le fonti luminose notturne che attirano falene, coleotteri ed altri insetti notturni disturbando le loro capacità d’orientamento.
In molti casi si tratta di ambienti che avrebbero la potenzialità per supportare la biodiversità faunistica, ma che, per caratteristiche costruttive inadeguate, finiscono per ricadere in uno stato perenne di non funzionalità ecologica e di ‘trappola ecologica’ tanto da essere definiti ‘habitat negativi’, in quanto riducono la biodiversità producendo mortalità (diretta o per fallimento riproduttivo) anche elevata per le specie che andrebbero tutelate.
Essendo poi tanto più attiranti quanto più l’elemento naturale in esse inglobato è raro, le infrastrutture antropiche di gestione delle acque, in ambito pugliese, possono divenire delle iper-trappole, qualora presentino facilità d’accesso per la fauna e pareti verticali che ne impediscano la fuga come purtroppo si verifica nel canale di Patula Cupa dopo il recente intervento.
In particolare, per quanto riguarda le specie di anfibi presenti nel Parco, i rospi comuni (Bufo bufo) ed i rospi smeraldini (Bufotes viridis balearicus), utilizzano le aree allagate unicamente per riprodursi, ma vivono da adulti in zone asciutte; queste specie vengono attirate come esemplari adulti nei canali durante il periodo riproduttivo (da gennaio a maggio), dove possono entrare per caduta, riuscendo a riprodursi ma senza poter più uscire e dunque morendo per batteriosi della pelle, dato l’ambiente per loro non adeguato.
Anche i girini, dopo la metamorfosi, non riescono a guadagnare le sponde, per cui sono costretti a subire un analogo destino, un ciclo anti-riproduttivo che agisce portando progressivamente ad una riduzione del numero degli individui nelle popolazioni target, che può arrivare fino all’estinzione locale delle specie interessate.
Non è superfluo ricordare che entrambe le specie sono oggetto di specifica protezione nella legislazione italiana, essendo incluse nella Convenzione di Berna, recepita in Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981; il rospo smeraldino è inoltre ulteriormente tutelato della “Direttiva Habitat” 92/43/CEE, essendo ricompreso nell’allegato IV.
Per quanto riguarda invece le rane verdi (Complesso Pelophylax lessonae e relativi klepton), queste riuscirebbero a sopravvivere senza problemi in una zona con presenza costante di acqua, tuttavia, in caso di canali come quello di Patula Cupa con pareti verticali impossibili da scalare, divengono facilmente oggetto di iperpredazione da parte degli Ardeidi, ossia degli aironi come le garzette, gli aironi guardabuoi, le sgarze ciuffetto, gli aironi bianchi, tutte specie più volte osservate a Patula Cupa.
La mancanza di qualsivoglia nascondiglio costituito da vegetazione riparia sulle sponde o da ciottoli e cavità sul letto di scorrimento, rende infatti questi anuri totalmente esposti ai predatori che, in circostanze innaturali come il canale a sponde alte, tendono ad un cortocircuito istintuale che li induce a compiere vere e proprie stragi di rane e rospi, che vengono uccisi ma non inghiottiti, finendo in ultimo per determinare un danno per la sopravvivenza degli stessi uccelli predatori, che nel medio periodo si troveranno ad affrontare l’estinzione delle prede necessarie alla loro sussistenza.
Queste condizioni deleterie per la biodiversità locale sono al momento ben visibili come esito dell’intervento effettuato sul canale, che al momento corrisponde purtroppo perfettamente alla caratterizzazione delle “trappole ecologiche”, in primo luogo per gli anfibi e, secondariamente, per altre specie, come la natrice dal collare sicula (Natrix helvetica ssp. sicula), presente nei nostri ambienti umidi, che potrebbe senz’altro essere attirata dalla presenza degli anuri di cui si ciba, per poi finire anch’essa predata dagli aironi o ritrovarsi nell’impossibilità di riprodursi (trattandosi di un rettile e non di un anfibio, la natrice ha bisogno di luoghi caldi ed asciutti per deporre le sue uova e farle schiudere, nonché di luoghi asciutti per andare in ibernazione durante l’inverno).
A questo si aggiunge l’ulteriore rischio di funzionare come “trappola per caduta” per altra fauna minore, in particolare piccoli insettivori come i ricci (Erinaceus europaeus), i mustioli (Suncus etruscus) e le talpe (Talpa romana).
Il problema sopra riportato era frequente nelle infrastrutture di servizio della rete di raccolta delle acque grigie in ambito urbano, realizzate in aree prive di interesse naturalistico e quindi progettate e realizzate unicamente tenendo conto della funzionalità idraulica, salvo poi ritrovarsi anche lì con rospi intrappolati ed incapaci di risalire.
Attualmente decenni di esperienza e di attività di sensibilizzazione hanno portato a nuovi disegni progettuali, con vie di fuga preinstallate nonché allo studio e sviluppo di sistemi di “retrofitting”, ossia di adeguamento delle infrastrutture anche dopo la loro realizzazione, in modo da risolvere gli aspetti più dannosi del problema.
In particolare, per ciò che riguarda gli anfibi, il metodo più funzionale di retrofitting è risultato l’uso di strisce di geogriglie sintetica, che permettono agli animali di scalare pareti anche verticali, come quelle dei tombini, in modo da ripristinare le possibilità di allontanamento dal corpo idrico.
In questo sito è possibile visionare video di diversi anfibi, sia anuri (rane e rospi), che urodeli (salamandre e tritoni), ripresi mentre si arrampicano su geogriglie per uscire da tombini.
A queste, per proteggere altri esemplari di fauna minore (piccoli mammiferi insettivori, e serpenti) che possono cadere nei canali accidentalmente, si aggiungono delle rampe inclinate, di larghezza compresa tra i 15 ed i 20 cm, spesso accoppiate con geogriglia per aumentarne la funzionalità.
Nel caso applicativo del canale di Patula Cupa, considerando come ci si trovi all’interno di un’infrastruttura verde primariamente dedicata alla biodiversità, per risolvere la carenza di progettazione che ha portato all’attuale risultato si suggerisce di adottare entrambi gli approcci, posizionando strisce di geogriglia ogni sei metri lineari su entrambe le sponde, per un totale di 50 strisce, e due strutture a trapezio isoscele, una per sponda, in modo da formare due rampe di 20 cm di larghezza ed inclinazione compresa tra i 30 ed i 45 gradi, così da ottenere 4 rampe di uscita inclinate.
Esempio di doppia rampa inclinata su canale a sezione trapezia
Le due strutture trapezie possono essere realizzate nello stesso materiale lapideo utilizzato per rivestire le sponde, tagliando opportunamente i conci per ottenere le superfici inclinate delle rampe; anche sulle rampe è opportuno fissare strisce di geogriglia, in modo da rendere più facile la risalita per la fauna.
Inoltre, per ciò che concerne gli anfibi, è anche opportuno inserire in posizione laterale sul letto del canale dei rifugi che permettano agli animali di nascondersi in situazioni di pericolo; per questa funzione si suggerisce l’uso di semplici coppi in laterizio, per circa 100 pezzi totali (una ogni tre metri di sponda), da posizionare sul fondo lungo i bordi.
La messa in opera di questi dispositivi permette di risolvere nell’immediato l’emergenza ecologico-faunistica, tuttavia è opportuno ribadire come una corretta progettazione iniziale non solo avrebbe evitato il presentarsi di queste criticità, ma avrebbe all’inverso potuto creare condizioni positive per la fauna e per la flora, un effetto positivo per la biodiversità che non è purtroppo ottenibile nelle condizioni attuali.
Geostuoia tridimensionale come scala per anfibi, tipo SYTEC Terramat A, stabilizzato ai raggi UV, materia prima PE + PP, colore nero, Massa min. 570 g/m², spessore min. 15 mm, resistenza alle intemperie min. 80 %, lunghezza 165 cm.
L’installazione su un canale è estremamente rapida, in quanto vengono fissate nella parte alta del canale utilizzando viti con tassello e placche metalliche per distribuire la pressione di fissaggio, o in alternativa, semplici rondelle di 2-3 cm di diametro (due per ogni fascia) mentre la parte terminale viene semplicemente zavorrata con una pietra.
Per la realizzazione in loco delle due strutture con rampe inclinate è possibile stimare un costo di realizzazione di circa € 300 cadauna, mentre le tegole “coppi” hanno un costo inferiore ad un euro cadauna.
Complessivamente il costo dell’intervento di mitigazione è quindi inferiore ai 2.000 euro.
Per concludere, vogliamo sperare che l’intento con cui è stata redatta questa nota risulti ben chiaro, quello della leale collaborazione che non è mai mancata da parte nostra, per risolvere un problema di rilevante portata che abbiamo purtroppo dovuto osservare ad opera eseguita.
Se invece fossimo stati coinvolti fin dalle fasi iniziali di progettazione dell’opera, non solo si sarebbe potuto evitare del tutto l’insorgere di questi problemi, ma si sarebbero potuti ottenere quei benefici già menzionati per la biodiversità e per la struttura paesaggistica del Parco, il tutto con risparmio di risorse pubbliche.
A questo proposito è anche importante ricordare la nostra continua disponibilità a partecipare (a titolo del tutto gratuito) alle sedute della Commissione Comunale per l’Ambiente, fornendo apporti che in più casi si sono rivelati preziosi per la comunità ed il territorio, in perfetta applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale pure sancito a livello Costituzionale.
Riteniamo che la tutela e la valorizzazione di queste sedi, in cui sono presenti molteplici competenze, sia estremamente rilevante, per cui invitiamo l’Amministrazione a servirsene in maniera adeguata e costante, quale espressione della ricchezza sociale di una Comunità che chiede di venire coinvolta nelle scelte che interessano il proprio territorio.
Si ringrazia inoltre per la consulenza naturalistica e faunistica il Dott. Biologo Cosimo Vetrano, che ci ha seguiti e consigliati nella redazione di questa nota.
Legambiente Puglia esprime forti perplessità, criticità e contrarietà sul progetto per la realizzazione di un impianto eolico da realizzarsi nei Comuni di Salice Salentino (LE), Veglie (LE), Guagnano (LE), San Pancrazio Salentino (BR), Avetrana (TA) ed Erchie (BR). Legambiente in linea generale è ovviamente favorevole allo sviluppo dell’energia rinnovabile soprattutto per accelerare la decarbonizzazione fondamentale per la transizione ecologica ed energetica della Puglia e dell’Italia intera. Ed infatti nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza per un’Italia più verde, innovativa e inclusiva presentato da Legambiente si punta a una green society, che innova i processi produttivi e dà risposte concrete alle gravi emergenze che stiamo vivendo. Se è vero che la transizione ecologica non può attendere, è anche vero che però occorre dare slancio a progetti attenti alle dinamiche ambientali, che mettano al centro la riqualificazione energetica, la gestione sostenibile delle risorse e il recupero e riuso dei materiali, promuovendo modelli produttivi basati su eco-innovazioni di processo e prodotto. Ogni progetto, anche se sposa la visione politica generale, deve però essere studiato attentamente e soprattutto innestato nel territorio di riferimento.
Le nuove generazioni, così come gli scienziati di ogni parte del mondo, stanno ponendo alla nostra società una sfida sempre più impellente, quella di ripensare il nostro modo di vita, passando da una società di tipo consumistico, che propone il profitto ed il consumo come unico rimedio al disagio esistenziale, ad una società che pone il ben-essere, il diritto alla bellezza, all’arte, alla natura, alle relazioni umane come centro della propria esistenza. La riduzione dei consumi energetici e materiali diviene una priorità, da realizzarsi attraverso un grande cambiamento culturale; ancora pochi decenni fa, in Italia, veniva considerato normale “gettare le cartacce per terra”, mentre adesso tutti (o quasi) sono coscienti di quanto tale gesto sia sbagliato. In quest’ottica appare preoccupante il ricorso sempre più massiccio al volantinaggio da parte delle catene della grande distribuzione, apparentemente impegnate in una sfida tra loro per stabilire chi riesca a distribuire i depliant più grandi, di più pagine, più colorati ed accattivanti, necessari per indurre i consumatori a spostarsi dal proprio centro, consumando carburante e producendo altro inquinamento, e raggiungere i grandi centri commerciali in cui celebrare il rito consumistico di autodistruzione delle risorse del pianeta. Ognuno di questi depliant costituisce un costo per il Pianeta Terra, come energia consumata, materiali inquinanti e non più recuperabili (vedi inchiostri e patinature della carta), processi industriali che fanno largo uso di rischiosi composti chimici, trasporti di queste masse di carta attraverso l’intero territorio nazionale, per arrivare poi nelle case dei cittadini e divenire parte dei costi dello smaltimento rifiuti dell’intera comunità. Nel Comune di Leverano, inoltre, osserviamo costantemente che i depliant vengono depositati sulle maniglie dei portoni, o sulla soglia d’ingresso, o, infine, inseriti solo parzialmente nelle cassette delle lettere per via del numero elevato di fogli, moltiplicato per il numero dei depliant stessi, con il risultato che ingenti masse di carta vengono ad essere catturate dal vento e trasportate lungo le strade, aumentando i costi di spazzamento e trasformandosi in rifiuto indifferenziato, con i conseguenti costi di smaltimento ed impatti ambientali. La ragione per cui le grandi catene preferiscono questa forma di pubblicità è presto detta: tassazione ridotta ed iter autorizzativo estremamente semplificato la rendono economicamente vantaggiosa rispetto alle affissioni; occorre quindi introdurre delle modifiche al Regolamento comunale che rendano più equilibrato il ricorso a questa forma di pubblicità rispetto alle altre e che tengano conto dei suoi elevati costi ambientali. Partendo dal presupposto che è impossibile vietare in assoluto la pratica del volantinaggio come si evince da diverse sentenze dei tribunali amministrativi, l’unica strada è rendere più efficace il già esistente Regolamento sull’imposta pubblicità del 2008. Pertanto, con la presente, si chiede di considerare la modifica del Regolamento, secondo l’allegata proposta, introducendo alcune fondamentali novità: 1 la necessità di un’autorizzazione preliminare, già vigente ai sensi dell’art. 663 Codice Penale, che preveda l’obbligo di riportare gli estremi autorizzativi sullo stampato in distribuzione; 2 il rendere maggiormente esplicito il divieto a qualsiasi forma di distribuzione di stampati al di fuori delle cassette postali, escludendo quindi maniglie, soglie, androni o l’immissione parziale nelle cassette stesse; 3 una imposta non più basata sul numero di persone che esegue la distribuzione(attualmente pari a circa 2,5 € per persona/giorno), bensì sul numero degli stampati e sulla loro consistenza materiale (dimensioni e numero di pagine), in analogia con quanto adottato dal Comune di Roma sin dal 2008; 4 l’istituzione di un “Registro comunale delle opposizioni”, che tenga traccia di chi esprima il proprio dissenso al ricevere forme di pubblicità via posta e consegna “porta a porta” (con l’unica eccezione di quelle specificatamente autorizzate dal richiedente) e che preveda il rilascio di un apposito adesivo agli iscritti, da apporre sulle cassette postali o sui portoni. Quest’ultimo punto è particolarmente delicato, in quanto in passato oggetto di pronunce da parte di tribunali amministrativi (vedasi sentenza del TAR Piemonte n. 742/2017). Da un’attenta lettura della pronuncia del Tribunale si ricava tuttavia che il Giudice non ha annullato la creazione del Registro in quanto tale, bensì l’esistenza di divieti generalizzati per la distribuzione degli stampati, con l’imposizione di relative sanzioni, osservando come invece siano sempre possibili sanzioni verso specifici casi e comportamenti che violino le disposizioni comunali. La proposta qui presentata specifica quindi, in modo esplicito, che la denuncia per il mancato rispetto della propria volontà di non ricevere pubblicità cartacea, resa evidente con l’apposizione dell’adesivo, deve essere presentata dal cittadino stesso e non essere disposta “d’ufficio”. In questo senso l’esistenza del Registro si pone unicamente come prova pubblica della volontà specificatamente espressa dal cittadino, creando una banca dati che, previo consenso informato degli iscritti, possa essere liberamente consultabile dalle aziende interessate che ne facciano richiesta. Al contempo, l’ideazione e la distribuzione di uno specifico adesivo, che esprima la volontà di opposizione, renderà uniforme e facilmente identificabile il diniego personale rispetto al personale incaricato alla distribuzione degli stampati pubblicitari, generando inoltre nella popolazione una “consapevolezza ambientale e culturale diffusa” sull’importanza di tale scelta.
Premessa L’emergenza Covid-19 ha fatto emergere con forza un problema cronico dell’Italia: il digital divide. La disparità nelle possibilità di accesso ai servizi telematici rende impossibile a numerose persone di lavorare in smart working, fare video lezioni scolastiche o universitarie da casa, partecipare più in generale alla vita sociale, economica e democratica del Paese, mettendo in evidenza disuguaglianze tra territori e persone che rischiano di diventare incolmabili. La diffusione della banda ultralarga su tutto il territorio nazionale è fondamentale per colmare questa lacuna intollerabile. A tal fine è fondamentale procedere allo sviluppo della banda ultra larga, mettendo in campo tutti le precauzioni necessarie per minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici relativi alla tecnologia 5G. Gli allarmi sull’inquinamento elettromagnetico Il fenomeno comunemente definito “inquinamento elettromagnetico” o “elettrosmog”, che non trae origine dalla letteratura scientifica specialistica, è legato alla generazione di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici artificiali, cioè non attribuibili al naturale fondo terrestre o ad eventi naturali (quale ad esempio può essere il campo elettrico generato da un fulmine), ma prodotti da impianti realizzati per trasmettere informazioni attraverso la propagazione di onde elettromagnetiche (impianti radio-TV e per telefonia mobile), da impianti utilizzati per il trasporto e la trasformazione dell’energia elettrica dalle centrali di produzione fino all’utilizzatore in ambiente urbano (elettrodotti), da apparati per applicazioni biomedicali, da impianti per lavorazioni industriali, nonché da tutti quei dispositivi il cui funzionamento è subordinato a un’alimentazione di rete elettrica (tipico esempio sono gli elettrodomestici). Lo sviluppo delle telecomunicazioni sta creando grande interesse in tutti i settori per la possibilità di nuove applicazioni, ma sta anche aumentando la preoccupazione per gli effetti non ancora del tutto noti sulla salute, al punto che a livello sia nazionale sia internazionale c’è una mobilitazione crescente contro l’introduzione del 5G. Gli scenari che si apriranno con lo sviluppo del 5G modificheranno probabilmente il livello di esposizione complessivo della popolazione a seguito di importanti cambiamenti nell’architettura della rete. È importante, quindi, adottare un approccio fortemente cautelativo, in linea con quanto messo in evidenza dalla ricerca scientifica. Date le forti preoccupazioni della popolazione, le istituzioni competenti devono implementare azioni di minimizzazione dell’esposizione e di informazione e sensibilizzazione attraverso un’adeguata comunicazione del rischio. Dopo la valutazione della IARC del 2013, che aveva definito i campi elettromagnetici a radiofrequenze come cancerogeni possibili, sono stati condotti numerosi studi. I ricercatori dell’Istituto Ramazzini hanno presentato i risultati della sperimentazione animale da loro condotta sottolineando che i risultati ottenuti, che prende in esame lo standard 3G, sono congruenti con quelli dello studio del National Toxicology Program (NTP) e hanno auspicato che anche i produttori di telefoni cellulari facciano i passi adeguati per l’adozione di un atteggiamento prudenziale e per ridurre l’esposizione della popolazione. A luglio dello scorso anno, è stato pubblicato il rapporto ISTISAN 19/11 “Radiazioni a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”, in cui si è inteso presentare il quadro delle conoscenze attuali. I risultati dei recenti studi sperimentali, che confermano una tendenza a mostrare criticità ad alte esposizioni per un elevato numero di ore (come emerso dal recente studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna sui 50 V/m per 24 ore), insieme agli annunci dell’uscita della nuova tecnologia 5G hanno creato un forte allarme nella popolazione. Anche in Italia, così come in altri Paesi, si sono formati movimenti e associazioni per lo stop al 5G. Le richieste di Legambiente All’inizio del 2019, il Parlamento italiano, attraverso la IX Commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni), ha avviato un’indagine conoscitiva sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione al 5G e alla gestione dei big data. Nel febbraio 2019, vi è stata una specifica audizione, nel corso della quale Legambiente ha chiesto l’applicazione del principio di precauzione e l’adozione di azioni volte a tutelare la popolazione esposta, soprattutto i più vulnerabili, chiedendo che: 1. non si alzino gli attuali valori limite per le emissioni di campo elettromagnetico; 2. sia revisionato l’art. 14 del Decreto Sviluppo “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” che impone la misurazione dei campi elettromagnetici sulla media di 24ore invece sulla media dei 6 minuti nelle ore di maggior traffico telefonico; 3. si attivi una ricerca epidemiologica indipendente finalizzata ad approfondire tutti gli impatti sulla salute; 4. si promuova presso i Comuni l’adozione del regolamento per la localizzazione delle antenne come strumento di pianificazione e minimizzazione delle esposizioni. I regolamenti comunali per minimizzare l’esposizione Gli impianti di telecomunicazione sono aumentati nel tempo, ma è anche vero che l’intensità dei segnali è diminuita passando dai sistemi analogici a quelli digitali. Le reti 5G rappresentano un’ulteriore evoluzione della tecnologia e andranno a modificare anche le modalità di utilizzo delle radiofrequenze, dato che sicuramente le emittenti aumenteranno numericamente anche per le molteplicità delle applicazioni. L’introduzione della tecnologia 5G potrà, quindi, portare a scenari di esposizione molto complessi, con livelli di campo fortemente variabili nel tempo e nello spazio e nell’uso delle risorse delle bande di frequenza. Le preoccupazioni dei cittadini hanno portato alcuni sindaci al rifiuto della sperimentazione del 5G nel loro territorio. Legambiente è favorevole allo sviluppo tecnologico, tenendo però in considerazione le preoccupazioni espresse dalla comunità scientifica in tema di nuovi standard di telecomunicazione. Come da DNA associativo, il nostro compito deve essere quello di fornire ai cittadini ed amministrazioni informazioni scientifiche corrette e proposte tecnicamente e giuridicamente percorribili. Da tempo, infatti, sulla tecnologia 5G circolano informazioni spesso non veritiere che alimentano uno stato di incertezza e timore (basti pensare alle fake news sulle correlazioni tra 5G e Covid-19 o Xylella). La legge n. 36/2001 ossia la Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, stabilisce all’art.8 quali sono le competenze in materia di regioni, province e comuni. In particolare, al comma 6, dello stesso articolo, prevede che “i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”. Questo significa che ai comuni chiediamo la piena attuazione dell’art. 8 comma 6 della legge n. 36/2001, ossia la stesura di un regolamento e/o di un piano di installazione comunale che abbiano come finalità quella di minimizzare l’esposizione dei cittadini ai campi elettromagnetici, applicando così il principio di precauzione. Un’ordinanza sindacale che escluda categoricamente l’installazione di antenne 5G sul territorio comunale, basandosi solo sul richiamo del principio di precauzione, è un atto velleitario e giuridicamente vulnerabile, che ha buone possibilità di venire annullato dal Giudice amministrativo. Nella stesura dei piani comunali di installazione le ARPA regionali danno un contributo importante, ossia quello di monitorare i livelli di esposizione della popolazione e fornire indicazioni utili sul livello di campo elettrico di fondo presente nei comuni. A tal proposito si ricorda che il Dpcm n. 199/2003 prevede come limite di campo elettrico 6 V/m per le alte frequenze (ossia quelle comprese fra 100 kHz e 300 Ghz), molto più basso di quello previsto dagli altri Paesi europei. Per l’elaborazione dei regolamenti e/o piani di installazione comunali occorre sapere anche cosa prevedono le leggi regionali, in attuazione dell’art. 8 della Legge quadro n.36/2001. In allegato al presente position paper trovate il Regolamento della Regione Puglia n. 14/2006, un importante punto di riferimento per capire come si elabora un piano comunale di installazione.
Le altre fonti di elettrosmog
Quando si parla di elettrosmog, è bene ricordare che è sbagliato concentrarsi solo sul 5G perché le fonti sono molteplici. La fonte più sottovalutata è sicuramente l’uso dei telefoni cellulari nella vita quotidiana, tema a cui Legambiente ha dedicato negli ultimi anni una campagna informativa ad hoc
Legambiente si impegnerà anche a sensibilizzare i cittadini anche su come limitare l’esposizione delle onde elettromagnetiche negli ambienti domestici. L’inquinamento elettromagnetico infatti cresce anche tra le mura domestiche, grazie a modem, tablet, assistenti vocali e ora anche gli elettrodomestici connessi. Lo sviluppo della tecnologia Iot (Internet of things) avrà come risultato un aumento dei dispositivi wireless, ossia di ulteriori sorgenti di campi elettromagnetici, rispetto a quelle attualmente esistenti. Tra i possibili dispositivi Wi-fi di uso domestico, quelli più critici dal punto di vista di una prolungata esposizione sono gli hotspot e i routers wireless, i dispositivi bluetooth, gli smartphone e i comuni notebook. Roma, 01/06/2020
Questo sopra è il documento elaborato a livello nazionale dall’Associazione Legambiente che ci fa piacere condividere con l’Amministrazione. Si cogli l’occasione per invitare l’ Amministrazione comunale ad avviare un monitoraggio dell’esposizione della popolazione leveranese all’inquinamento da elettrosmog attraverso l’Ente competente ARPA Puglia in quanto organismo terzo in grado di fornire dati imparziali ed in seguito alla stesura di un regolamento comunale per la localizzazione delle antenne come strumento indispensabile per la pianificazione e la minimizzazione delle esposizioni. Se la richiesta di monitoraggio ad Arpa è stata già avviata se ne richiede copia.